DoctorWine n.66 14 gennaio 2013

Riporto di seguito l’articolo di Daniele Cernilli che condivido appieno:

Pubblicato in DoctorWine n.66

La deriva acidistica
di Daniele Cernilli 14-01-2013
“Non mi preoccupa molto che i miei bianchi del 2012 siano esili e citrini, e per di più prodotti in quantità molto esigua, vista l’annata. Qualche italiano che li apprezzerà ci sarà di sicuro. Lì c’è gente che scambia i vini magri per vini eleganti…”. Non vi voglio dire chi ha pronunciato queste parole, che peraltro mi sono state riferite e non ho sentito con le mie orecchie. Ma chi le ha raccolte era in Borgogna, a Meursault, ed il produttore in questione fa vini in quella zona. Del resto non è tanto importante chi ha detto una cosa del genere, è importante il senso del discorso e la neanche tanto velata accusa di ingenuità che arrivava ad alcuni appassionati e piccoli importatori italiani da parte di un “vigneron bourguignon”. Ha ragione a dire cose del genere? Secondo me in parte sì. E questo perché negli ultimi anni un concetto di “bevibilità” un po’ esasperato sta facendo perdere di vista a qualche “enofilo” quello più importante di “equilibrio”, con il risultato che in alcune guide si vedono ormai vini considerati minori dai produttori, premiati al posto dei “top” di gamma. Oppure vini di annate piccole preferiti a quelli di annate più importanti. O, ancora, bianchi citrini ed esili fatti passare per straordinari esempi di eleganza, e, appunto, di “bevibilità”. Vale la pena ricordare alcuni punti, forse importanti, quando ci si avvicina al vino in modo non banale e non superficiale. Uno è che mentre i tannini “polimerizzano” e diventano più morbidi con il passare del tempo (a patto che siano maturi, ovviamente), l’acidità è fissa e resta più o meno quella che è. Il che vuol dire che un’abbondanza tannica giovanile può essere un peccato veniale, mentre un vino troppo aspro morirà senza evolvere in modo significativo questo suo aspetto. Un altro è rappresentato dal pezzo che Vinogodi ha scritto sui “bianchi sfigati” e che mi sembra illuminante a questo proposito. Solo grandissimi interpreti riescono in parte o in toto a nobilitare vitigni “piccoli” e comunque ci deve essere una vendemmia adatta, che dia luogo a vini equilibrati, a collaborare con l’intento. Perciò, capisco l’entusiasmo e le buone intenzioni di molti appassionati e/o critici in erba, ma, per favore, i vini aspri e le derive acidistiche trattiamoli come va fatto, cioè come limiti, se non come difetti. Non certo come esempi di qualità estrema da sbandierare in nome di un mal posto ideale di “bevibilità”, che in questi casi non si capisce proprio.
Share: